I Camaldolesi a centrale: S. Rocco

Una recente indagine condotta sui fondi notarili conservati nell'Archivio di Stato di Vicenza ha confermato quanto già si conosceva, sul primitivo insediamento dei Camaldolesi nei territori di Centrale prima, di Carrè poi.

Descrizione

 Durante le ricerche sono stati ritrovati alcuni documenti inediti che hanno arricchito le nostre conoscenze. In quest'area, presenteremo i documenti che interessano soprattutto il comune di Carrè. La storia inizia a Centrale. I primi eremiti si insediarono a partire dal 1599 nella chiesa campestre di S. Rocco di Centrale dove si fermarono provvisoriamente prima di trasferirsi a Carrè. La confraternita di S. Rocco e il comune di Centrale rivendicavano gli stessi diritti di proprietà sulla chiesa e i terreni circostanti. Già nel 1590 i membri della confraternita di S. Rocco volevano affidare la chiesa e il terreno circostante, ad un ordine religioso, cosicché fosse sempre presente un frate a dir messa in determinate ricorrenze e a celebrare l'ufficio per i confratelli defunti. Il tutto venne donato al convento francescano di S. Maria degli Angeli di Vicenza con un atto notarile dell'aprile del 1590. Anche se i religiosi accettarono la donazione, non poterono mai entrare in possesso di S. Rocco. L'8 settembre 1592 il vescovo di Padova Federico II Corner, dichiarò che la donazione non era valida e decise di revocarla per svariati motivi. L'insediamento dei Camaldolesi sulle Bregonze lo si deve ad un nobile vicentino, Enea Repetta. In questa circostanza assume particolare rilievo l'elemento nobiliare: un'aristocrazia che segue la controriforma del Concilio di Trento. Alcuni illustri cittadini di Vicenza si fecero promotori di questa iniziativa sia attraverso finanziamenti che attraverso donazioni di fondi che permisero l'allargamento dell'eremo. L'iniziativa della confraternita di S. Rocco di Centrale dovette anche fare i conti con pressioni esterne. L'eremo vero e proprio sorse a Carrè e i Camaldolesi elessero San Rocco a dimora provvisoria. Nell'aprile del 1598 la confraternita di S. Rocco donò chiesa e proprietà ai Camaldolesi di Rua padovana. L'8 dicembre 1598 avveniva l'incontro tra i membri della confraternita e due religiosi giunti da Rua. Nel corso del colloquio i due Camaldolesi dichiaravano che avrebbero accettato in via preliminare la chiesa e i beni circostanti. Nonostante il documento manifestasse la volontà unanime dei membri della confraternita ad approvare la donazione, una minoranza contraria era contraria. Questo fu ininfluente perché il 29 marzo 1599 venne stipulato l'atto definitivo di cessione. L'arrivo dei Camaldolesi a Centrale cade comunque in un periodo di conflitti, e di difficoltà finanziarie.

- L'insediamento A Carrè: Il Roversoro -

Il 10 dicembre 1598 frate Barnaba e frate Alessandro si recavano a Vicenza dove stipulavano in via preliminare un contratto di acquisto con i fratelli Paolo e Bartolomeo Gasparini. Questo contratto, permette, di stabilire che gli eremiti intendevano sin dall'inizio (10 dicembre 1598) erigere la loro clausura nel territorio di Carrè. Ciò si può capire anche dal fatto che i campi in questione confinavano a sud e ad est con il comune di Centrale e, a sua volta, sarebbero stati ceduti definitivamente ai religiosi tra il febbraio e il marzo del 1599. Invece l'area acquistata dai Camaldolesi in territorio di Carré era un possesso fondato su di un antico contratto di livello che i Gasparini, avevano stipulato con i nobili Capra. In tale circostanza, acquistando la terra, gli eremiti sarebbero subentrati ai Gasparini come livellari dei Capra. I padri, nell'atto di vendita, non disponevano nell'immediato del denaro liquido e si impegnavano a saldare il conto nella Pasqua del 1599. Pertanto vennero imposte delle clausole in base alle quali, fino a pagamento avvenuto, i Gasparini avrebbero esercitato il diritto di ipoteca sui beni venduti. Nel frattempo i padri si sarebbero impegnati, altresì, a non apportare innovazione alcuna, Gli 800 ducati, che i Camaldolesi avrebbero avuto a disposizione a partire dalla Pasqua del 1599, non vennero pagati del tutto. In un primo tempo l'estensione del fondo venne, difatti, stimata in modo approssimativo. Sulla base di una perticazione effettuata dall'agrimensore Francesco Graziolo, venne appurato che il fondo non era di 77 bensì di 51 campi. Ciò richiese la revisione del contratto. I Gasparini reinvestirono il ricavato della vendita in beni di altrettanto valore situati a Centrale e a Grumolo, senza concedere sconti ai religiosi. Questi ultimi, fatti i debiti calcoli, risultarono ancora allo scoperto per una somma di 60 ducati. Ad onorare il debito di questi intervenne il gesto generoso di Gellio Ghellini, canonico della cattedrale di Vicenza, il quale si impegnò a liquidare nel giro di tre anni a titolo di elemosina quanto ancora dovuto ai Gasparini liberando i Camaldolesi dall'ipoteca.

In quegli anni l'eremo si trovò spesso a corto di finanze e quindi dovette appoggiarsi alla generosità altrui, oltre che al sostegno di Rua padovana e del censo di Muggia. Più volte venne chiesto aiuto al consiglio comunale di Vicenza come testimoniano le suppliche del 20 novembre 1599, del 26 marzo 1600, del 16 aprile 1601 e del 22 dicembre 1603. Per quanto riguarda il Roversoro, il fondo che gli eremiti acquistarono dai Gasparini era da questi condotto a livello essendo i reali diritti di proprietà esercitati dai nobili Capra i quali ne riscuotevano anche il canone. Ma, una volta subentrati ai Gasparini, i Camaldolesi vennero affrancati da qualsiasi obbligo derivante dalla loro posizione di livellari in quanto, con atto notarile del 16 febbraio 1601, i Capra rinunciavano ad ogni diritto di proprietà sul Roversoro in segno di devozione e di gratitudine. Da questo momento i Camaldolesi diventano proprietari effettivi del Roversoro sulla Bregonza a condizione che, come risulta dall'atto di rinuncia dei fratelli Capra, vi risiedano stabilmente e non cedano ad altri quanto loro così devotamente donato. Le elemosine e le pie donazioni, oltre che al mantenimento degli eremiti erano, quindi, destinate anche all'ampliamento della proprietà a disposizione dei Camaldolesi. Già sin dall'anno 1600 i religiosi manifestavano l'intenzione di allargarsi sia dalla parte di Centrale che di Carrè. Allo scopo vennero concluse nel giro di pochi anni alcune operazioni volte ad acquisire le aree adiacenti al Roversoro. In data 11 aprile 1600 gli eremiti facevano richiesta al comune di Centrale di un lotto di otto campi circa di terreno incolto e boschivo situato in contrà del Grumalto. Poiché i beni erano di proprietà del Comune, la richiesta venne sottoposta al vaglio della convicinia, cioè dell'assemblea dei capifamiglia, che approvò l'operazione. Il comune di Centrale ricevette in cambio altrettanti campi tra quelli facenti parte del fondo dei Camaldolesi. Di nuovo il 14 febbraio 1603 il comune di Centrale cedeva agli eremiti altri 10 campi e mezzo circa, posti a loro volta in contrà del Grumalto, ottenendo in cambio una pezza di terra boschiva e montuosa situata in contrà Rivetta, vicino a Carrè, che i padri avevano ricevuto in donazione. Un ultimo baratto con il comune di Centrale venne effettuato in data 20 aprile 1604; i Camaldolesi entrarono in possesso di altri 10 campi in contrà del Grumalto scambiandoli con un appezzamento, posto in val Rivetta. Nel frattempo in territorio di Carrè i religiosi acquistavano alcuni campi posti a nord del Roversoro di proprietà del nobile Adriano Zugliano. Il contratto venne stipulato l'8 luglio 1602 a Vicenza. Il terreno ceduto all'eremo era soprattutto boschivo, pertanto il suo valore doveva essere piuttosto relativo. I nobili Capra possedevano a loro volta vaste estensioni boschive in località Valdaro, per la precisione campi e boschi che nel 1604 vennero anch'esse vendute agli eremiti. In tal modo la proprietà dei Camaldolesi si allargò al punto da confinare, nelle sue estreme propaggini con i comuni di Chiuppano e di Lugo. Illustri membri dell'aristocrazia vicentina contribuirono in modo significativo al consolidamento dell'eremo delle Bregonze.

Da una parte Adriano Zugliano trasse certamente vantaggio dalla permuta dei propri beni con quelli che gli eremiti acquistarono dai Massaria. In tal modo si liberava di alcuni debiti e livelli contratti in precedenza con quelli. Dall'altra è verosimile pensare che, attraverso questi passaggi di proprietà, i Camaldolesi intendessero accorpare all'eremo alcune aree appartenute allo Zugliano). Il consolidamento della proprietà dell'eremo ebbe senz'altro delle ripercussioni dal punto di vista economico nei confronti dei villaggi situati ai piedi delle Bregonze. E' stato notato a suo tempo come la cessione di S. Rocco non avesse riscosso l'unanime consenso dei capifamiglia di Centrale. Vi fu sempre un'opposizione che, poco tempo dopo, quando si trattò di cedere il Grumalto ai Camaldolesi, ad un certo punto parve ingrossarsi sensibilmente: una minoranza che, con tutta probabilità, si faceva interprete di un certo malumore creatosi a causa della perdita di una porzione di beni comunali sui quali venivano esercitati dei reali diritti d'uso. Il medesimo problema venne individuato da Renato Zironda il quale notava come nel Seicento l'eremo fosse sottoposto a continui assalti, furti e danneggiamenti dovuti alla crisi economica che imperversava in quel periodo nei territori della Serenissima. Pertanto si creò un continuo stato di tensione che a volte sfociava in episodi di violenza come quello che nel 1669 vide protagonista un certo Franco Tura da Lugo, bastonato da un eremita perché sorpreso a rubare della legna, e per il quale si aprì una causa tra il consigliere comunale di Carrè Giovanni Guzzonato e i Camaldolesi.

 

Ultimo aggiornamento: 06/06/2024, 11:05

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